giovedì 21 gennaio 2010

Serendipity




La “Serendipity” è un atteggiamento di ricerca che, se ben strutturato, diventa metodologico.
Questo termine, grazie alla sperimentazione fatta da Robert King Merton, indica la modalità di intraprendere nuove strade nel progetto conoscitivo.

Il contributo di Merton risiede nell’analisi della disposizione mentale necessaria a compiere scoperte serendipitose e delle condizioni che ne favoriscono lo sviluppo all’interno dei contesti socio-cognitivo-educativi.

La serendipity si attiva in contesti di problematicità, di necessità di far fronte agli eventi in una situazione difficile in cui, senza vederci perdenti, riusciamo ad individuare risorse e opportunità di soluzione ove altri non vedono elementi da usare per uscire dal problema.
Troviamo risorse nuove, inaspettate e impreviste e le sappiamo utilizzare.
In Merton la serendipity indica l’opportunità accidentale di realizzare una scoperta grazie all’osservazione di dati anomali che, emersi in modo imprevisto, si rivelano proficui per l’accrescimento del patrimonio conoscitivo.
Nella storia delle scienze spesso le scoperte sono state eventi casuali, ma perché un fatto casuale è diventato chiave per aprire un campo del reale e quindi del sapere?
Perché là, mentre nell’esperimento qualcosa di anomalo sembrava accadere casualmente, qualcuno ha saputo agganciare l’anomalia, ha osservato, ha colto l’indizio e su esso ha lavorato.

Secondo Merton ogni attimo nella realtà ci sono fatti-eventi che possono essere spie per individuare aspetti nuovi del reale ma se, mentre accade l’evento, non c’è l’osservatore capace di vederlo, l’evento passa, se ne va e noi perdiamo l’occasione di cogliere e conoscere il fenomeno e utilizzarlo.

Perché l’osservatore non è un tizio qualsiasi, è una persona che ha le capacità e i prerequisiti per cogliere l’evento, lo sa agganciare.

Vedere ciò che altri non vedono, è questo – la serenditpity – che ha spinto l’uomo ad andare oltre i confini di ciò che costituisce la realtà osservabile e il sapere consolidato.
È questo che permette ad alcune persone che vengono da culture diverse, più o meno svantaggiate, di organizzarsi in contesti nuovi e fare strada, mente altre restano perdenti.

Per arrivare alla scoperta serendipitosa sono necessari tre elementi:
- l’evento in situazione problematica
- l’osservatore
- il bagaglio esperienziale e conoscitivo.

* Qui la situazione problematica è la vita con tutte le sue mille sfaccettature, da quelle belle, piacevoli e promettenti a quelle difficili, dolorose, limitanti.
L’evento scatenante è la nascita asfissiante e lacerante di noi stessi a cui, ogni giorno, per anni ed anni abbiamo assistito.
Nascita tragica se vista dall’illusione in cui siamo immersi quotidianamente, meraviglioso evento vitale, che sperimentiamo in noi ogni volta che ci eleviamo al di sopra, oltre ogni pensiero limitante che abbiamo messo alla base della nostra esistenza.


* Secondo elemento è l’osservatore.
Questo agente del pensiero, della creazione del reale, della scienza e delle relazioni, entra in gioco con la fisica quantistica, anche se l’oriente e la mistica, chiamandolo diversamente, l’avevano individuato già da molto tempo.
L’osservatore… come attivare in noi questa dinamica, questo atteggiamento, questa parte di noi?

Tante scuole di vita, di pensiero, di scienza, le religioni, la new age, hanno tentato, anche con buoni risultati, di indicarci come fare, come essere l’osservatore di noi stessi e della realtà, uno con l’energia dell’emozione ma col distacco necessario a lasciar andare il controllo della mente, con asetticità, con funzionalità, perché questa è la prerogativa della capacità di creare: il distacco dalle cose, l’essere nelle cose e nelle esperienze ma non esserne coinvolti con le interferenze della mente.

L’osservatore è, in noi, ciò che conduce i nostri intenti, i nostri pensieri reali, concreti e costruttivi, è quella parte di noi che realizza i nostri progetti, che già è realizzata nei progetti che andiamo a costruire. Oggi è più facile attivarlo e ottenere risultati incoraggianti, far sì che esso sia ciò che la scienza dice: “quell' agente capace di creare la nostra realtà, perché là, ove l’osservatore punta l’attenzione, la realtà si fa concreta”.

L’osservatore emerge nella nostra esperienza come risultante del nostro cammino interiore, esso si manifesta passo passo, man mano che procediamo dentro di noi. Perché solo ciò che abbiamo sperimentato e conosciuto di noi possiamo lasciar andare, solo ciò che abbiamo prima riconosciuto nostro ed integrato alla nostra personalità può essere abbandonato, perché fatto nostro, oppure non più utile alla nostra crescita, non più funzionale al nostro evolvere.

L’osservatore c’è quando in un evento, dalla situazione in cui siamo immersi e da noi stessi, sappiamo fare il distacco, pur rimanendo presenti, di una presenza serena, distaccata, che permette l’insorgere della consapevolezza di ciò che in quel momento accade.
L’osservatore è colui che Osserva, non è coinvolto, non lascia coinvolgere il suo io, tutto guarda, tutto lascia scorrere. Guarda, come se la cosa non lo riguardasse. Nell’osservatore non c’è attaccamento, non c’è appartenenza, non ci sono diritti, né doveri, né aspettative su ciò che lo attraversa e su ciò che ha davanti. Ecco perché l’osservatore è l’agente del creare, perché è completamente aperto e disponibile a lasciar passare il massimo di energia vitale. Quell’energia cosmica d’amore che fa accadere gli eventi, che rende presenti le persone davanti a noi, che cambia e rinnova ciò che ci sta intorno.

* La formazione, il terzo elemento indispensabile. Il bagaglio di conoscenze, che l’osservatore già possiede, gli permette di osservare – con occhio attento – la realtà e cogliere ciò che potrebbe nascondersi dietro eventi apparentemente casuali.
Il bagaglio conoscitivo è dato da tutte quelle esperienze in cui la vita ci ha condotto spinti da quella ricerca assillante di uscire dal dolore, dalla sofferenza… o spinti da quell’avvincente incanto della vita che avevamo intravisto, che già stava dentro di noi, che ci spingeva, ci metteva sempre in cammino?
Propendo per la seconda, ogni dolore della vita è un dolore del parto, passa subito, anche il ricordo, e ciò che si ha davanti è… tutto un gioco in ascesa.

Camminando, cercando, si conosce, si comprende, si aprono campi morfogenetici di indagine e di interessi, si tessono trame, campi di incontro e di realizzazione comuni… si impara. Si affinano i sensi, le tecniche, l’intuizione, l’occhio, il terzo occhio, si incontrano compagni di viaggio, si fanno pezzi di strada insieme… bagaglio esperienziale e di competenze che uno, molto semplicemente, si ritrova dentro.
Si chiama formazione ed è assolutamente determinante, perché se non avessimo le competenze giuste, nel momento che si è nell’evento serendipitoso non lo si saprebbe né vedere né agganciare né, tanto meno, sviluppare e ci passerebbe davanti.

Dice Merton, ogni attimo avvengono eventi serendipitosi.

Tutto il patrimonio della persona può diventare elemento per la formazione, così che questa offra le chiavi per attivare l’arte della scoperta accidentale, della serendipity, come effettiva risorsa e strumento di costruzione e accrescimento del patrimonio conoscitivo.

* E la scoperta? Ciascuno fa la sua, attivando la Sua Serendipity.

La scoperta è personale e unica, sta qua, nel percorso o in fondo ad esso.

Questo blog sarà una Caccia al Tesoro: esperienze, idee, metafore, racconti, sogni… indizi, indizi, ciascuno coglie ciò che gli serve. Mentre leggi attraversi i vissuti di altri, a questi aggiungi la tua vita così com’è oggi, i tuoi giorni, le tue situazioni, le relazioni, i luoghi, i libri, le canzoni, i sogni e i desideri.
Qualcosa incroci, qualcosa collima, corrisponde, si connette.

Agganci un indizio, dentro di te s’apre un sentire o un’intuizione, un’emozione, un tremore, un ricordo… seguilo, assecondalo e tappa dopo tappa trovi il Tuo Tesoro.



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Il termine Serendipity ha origini veneziane. Nel 1557 l’editore Michele Tramezzino di Venezia, pubblica il libro I tre principi di Serendippo. Una raccolta di storie avventurose tradotta dal persiano da un certo Christoforo Armeno, ma probabilmente scritta dallo stesso Tramezzino.
Il libro racconta le avventure di tre principi, figli del grande Giaffer che regnava sull’isola di Serendip, o Serendippo, oggi Sri Lanka. Il sultano curò personalmente l’educazione dei tre giovani trovando per loro i migliori maestri. Il giorno che Giaffer, stanco di regnare, decide di abdicare in favore del figlio maggiore, questi ribatte che un re deve regnare finché ha vita e ugualmente rispondono i suoi fratelli. Giaffer li castiga cacciandoli e i tre giovani si trovano a vivere una serie di avventure nelle quali utilizzeranno le conoscenze e la sagacia, frutto della loro valida formazione. Essi riusciranno ad uscire indenni e vincitori da molte situazioni problematiche e troveranno tanti tesori.

Nel 1754 Horace Wapole scrive una lettera a Horace Mann, in cui usa il termine serendipity, affermando di aver coniato egli stesso tale vocabolo per indicare la sagacità accidentale. Il termine fu poi ripreso dallo statunitense Robert King Merton (1910-2003) per sostenere la teoria sociale della scoperta accidentale. Nel suo libro Viaggi e avventure di Serendipity egli sostiene la tesi che, spesso, in presenza di determinati prerequisiti, una scoperta avviene in modo accidentale mentre si sta cercando qualcos’altro.
Basti ricordare le seguenti scoperte: dell’America (Cristoforo Colombo), la penicillina (Alexander Fleming), la dinamite (Alfred B. Nobel).








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